Un giorno (a scuola) all'improvviso


E così, in una tiepida mattina di maggio, mi ritrovo davanti al cancello di un istituto superiore di Milano. Sono teso e spaesato come neppure al mio primo giorno di liceo. Non dovrei esserlo. Non sono più un ragazzino e da anni, ormai, vivo di insegnamento, tra laboratori universitari e corsi nel terzo settore. Ora, però, è arrivato il momento di vestire i panni del docente di scuola: supplente di sostegno, per la precisione, per la prima volta e per un mese. Raggiungo la segreteria amministrativa seguendo le indicazioni nell’androne. Il segretario mi dà il benvenuto, mi porge i moduli della presa di servizio e mi indica la sala professori. C’è silenzio, mi siedo, sono solo; la mia grafia risente dell’agitazione, ma per fortuna migliora dopo aver compilato la prima facciata. Consegno tutto e mi inoltro a passo spedito negli ampi corridoi dell’edificio, sotto la guida della coordinatrice degli insegnanti di sostegno, che mi ha raggiunto, come concordato. Tra una domanda e una raccomandazione, mi confessa sorridente di essere di Paestum. Io prendo nota di nomi, aule, piani, orari, adempimenti burocratici. Poi mi presenta a delle colleghe. Sono loro a parlarmi del ragazzo che dovrò seguire, dei suoi bisogni, delle sue peculiarità. Io continuo a prendere appunti. Arriva il momento di entrare in classe. Solo lì, accanto a lui, mi sento finalmente al mio posto; solo in quel momento riesco a smettere di pensare alle mie insicurezze e difficoltà e a dedicarmi, con tutto me stesso, alle sue. I primi due giorni passano veloci come il quarto d’ora d’intervallo delle dieci, e anche il terzo sta per concludersi quando, per le scale che portano all’uscita, incrocio la coordinatrice. “Ehi, tutto bene?” mi fa, “Direi che ti sei ambientato in fretta: sembra che tu faccia questo lavoro da sempre”. Sorrido, la ringrazio e scappo via. Felice.



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