Mamma, papà e i fonemi

il neonato inaugura i suoi tentativi di padroneggiare le proprie emissioni vocali, a cominciare dai suoni più facili: quelli della “a”, la vocale più aperta; della “m”, la consonante che si pronuncia anche a bocca chiusa; della “p” che è un soffio che fa aprire le labbra. Ne risultano ripetizioni di sillabe come “ma” e “pa”. […] Anche il fatto che questi primi rudimenti di sillaba vengano ripetuti ravvicinatamente (ma-ma; pa-pa) ha una spiegazione. L’infante sta prendendo il controllo delle proprie emissioni vocali. I suoi primi spontanei borbottii hanno effetto su chi lo circonda; nasce la volontà di produrli non più spontaneamente e casualmente. Dico “ma”, e potrebbe essere un caso. Se però lo ripeto, il secondo “ma” prende una funzione di conferma. Il “ma” numero due significa, insomma: “prima volevo davvero dire ma”.
A questo punto entrano in campo gli adulti: siamo noi, infatti, a riconoscere una parola, che ancora non c'è, ad associare quel suono e quel significato, in base ad abitudini fonetiche, ma anche, o forse soprattutto, ad attese affettive. Perché il linguaggio, come sosteneva il celebre psicanalista Jacques Lacan, prima di significare qualcosa, significa per qualcuno.