Che cosa significa Napoli-Juventus

Per i napoletani, di nascita, di adozione o di elezione, Napoli-Juventus ha un significato particolare. O meglio, innumerevoli significati diversi, che si sommano a quello sportivo. Significati legati a questioni politiche, economiche e socio-culturali, le quali, a torto o a ragione, invadono il campo da (e del) gioco. Tralasciando i motivi strettamente calcistici alla base della profonda avversione nei confronti dei bianconeri, peraltro comune alle tifoserie di mezza Italia, vorrei provare a mettere a fuoco alcuni di questi significati in più.

Lotta di classe. Il conflitto tra classe lavoratrice, proletaria, e classe imprenditoriale, capitalista, è una componente importante della rivalità tra le due squadre. Generazioni di napoletani – e di meridionali, in genere – lo hanno vissuto sulla loro pelle, trasferendosi per lavorare nelle grandi aziende del nord, magari proprio negli stabilimenti della FIAT. Per molti di questi lavoratori, per i loro coniugi e i loro figli, Napoli-Juventus riporta alla mente anni di sacrifici e di rivendicazioni operaie. Rivendicazioni contro i padroni, a cui devono molto, ma a cui hanno dato tutto; che magari hanno trattato con riverenza, ma ai quali sperano di poter dare un dispiacere. Intenso eppure effimero, come solo una partita di calcio sa essere.

Sentimento antiborghese. Prendendo spunto dalle canzoni, spassose ma lucidissime, del cantautore Federico Salvatore, potremmo individuare due tipi di napoletani: il tipo Salvatore, di estrazione popolare, che si arrangia come può pur di portare avanti la famiglia, particolarmente numerosa; e il tipo Federico, rampollo della Napoli bene, amante della bella vita, spocchioso e juventino. Quest’ultimo particolare fa di lui un napoletano pezzotto, ossia falso, finto. A Napoli, infatti, l’identità è anche questione di tifo: se qualcuno afferma di tenere per una squadra diversa da quella della città dove è nato, instilla nell’interlocutore partenopeo dei dubbi sulla propria appartenenza alla comunità di origine. Se poi il soggetto in questione è nato e cresciuto all’ombra del Vesuvio ed è di ceto medio-alto, diciamo pure borghese, allora questi dubbi si trasformano in pregiudizi: il pensiero va immediatamente al Federico di turno, pronto a tutto pur di prendere le distanze dal popolo, sempre e solo ignorante e incivile. Tutto, compreso abbracciare una fede calcistica altra, spesso proprio bianconera. Così, per i Salvatore, napoletani veraci, umili ma perbene, e per i tanti che, più in generale, sono lontani dalla posizione – sociale e intellettuale – di Federico, Napoli-Juventus diventa l’occasione di esprimere il proprio sentimento antiborghese.

Rivendicazione storica. Striscioni sulle atrocità compiute dai Savoia a Fenestrelle, vessilli borbonici, stemmi del Regno delle Due Sicilie: da un po', in curva, si respira aria di revisionismo risorgimentale e di meridionalismo. Senza dubbio si tratta di una forma semplicistica sia dell'uno che dell'altro, ma non per questo meno potente dal punto di vista simbolico: sembra esserci, nel cittadino-tifoso medio, la vaga sensazione di una ingiustizia subita e storicamente rimossa; il sospetto di una subalternità politica, economica e dunque sociale generata e strategicamente mantenuta nei decenni. A questo si aggiunge il più elementare senso di sconfitta che spesso alberga nell’animo degli scamazzati, dei meno fortunati, delle persone in difficoltà. Da tutto ciò scaturisce una diffusa voglia di rivalsa, di rivendicare la propria identità, la propria storia e il proprio destino. Voglia che stenta a tradursi in azioni concrete sul piano politico (nazionale), ma investe in pieno quello sportivo. Ecco quindi che nell’ultimo decennio Napoli-Juventus ha assunto i contorni di una battaglia: una sommossa popolare contro gli invasori piemontesi. E poco importa se non si è in grado né di sostenere né di confutare la tesi secondo la quale Napoli è stata resa, insieme al resto del meridione, una fonte inesauribile di mano d’opera e, al contempo, un mercato a cui destinare le merci – e le scorie – prodotte dal sistema economico-industriale del nord.

Ma non si starà esagerando? Nel 1982, Umberto Eco dichiarava, durante un'intervista a Vittorio Sermonti, che “l’imponenza dello spettacolo calcistico e la sua abnorme risonanza nuocciono […] alla mente, perché spengono e rimpiazzano l’interesse per la polis”. Parole ancora attuali, in larga parte condivisibili. Non c'è dubbio, infatti, che in questa, come in tante altre sfide pallonare, le persone proiettano conflitti che sarebbe più giusto affrontare e magari cercare di risolvere altrove; vi riversano bisogni identitari e sociali, operando una sorta di transfer dalla sfera politica alla sfera di cuoio. Eppure, devo confessare una cosa: quando il Napoli batte la Juventus mi verrebbe voglia di scrivere un saggio di sociologia. E spero di non essere il solo a cui il calcio faccia questo effetto.



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