Li chiamavano Trinità

Basta numeri. Smettiamo di contare. Non ce ne accorgiamo, ma contando tralasciamo l'infinitamente piccolo che separa un numero dall'altro, diamo per scontato che esista qualcosa che li leghi e non stiamo lì a pensarci. È allora che, da infinitesimali, queste “cose” diventano insignificanti. A forza di parlare di statistiche, dimentichiamo quello che non può essere enumerato, che sfugge al nostro sguardo discretizzante. Ignoriamo il continuo, l’essenziale e al tempo stesso impercettibile. Proviamo per un attimo a sorvolare su gol e assist, e pensiamo a ciò che intercorre tra questi eventi puntuali. Pensiamo al continuum di gesti, movimenti, lanci, scatti, finte, sponde, dribbling, appoggi, cambi, scambi, cenni d’intesa. Ecco, tutto questo ha reso i tre nella foto quello che sono oggi: un'entità unica, nella duplice accezione di singolarità e di tutto. Qualcosa di radicalmente diverso, per intenderci, da quel trio di tenori – Hamsik, Lavezzi, Cavani – in cui i virtuosismi solistici avevano la meglio sullo spartito corale. E certamente non un'entità Ma.Gi.Ca. (Maradona, Giordano, Careca), perché non è ancora riuscita a dominare le forze della natura calcistica, realizzando l'impossibile. Ma qualcosa di divino, quello sì: li chiamavano Trinità.



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